Agli inizi di quest’anno sono
stato a Istanbul, nei giorni in cui si tornava a parlare del rischio di
attentati terroristici, e ho invece trovato una città accogliente e popolata da
persone di grande umanità. Racconto questo particolare, che mi ha davvero colpito:
mentre ero in taxi nel tragitto dall’aeroporto all’albergo, il tassista a un
certo punto si è fermato ed è sceso dalla macchina in modo inspiegabile, tanto
da spaventarmi. L’ho visto che raccoglieva un pezzo di pane, che poi, rientrato
in macchina, ha gettato dal finestrino mentre passavamo sul Bosforo. Si è quindi
girato verso me e mia moglie, che stavamo seduti dietro attoniti, e ci ha
spiegato a gesti che quel pane lo avrebbero mangiato i pesci. Un gesto
bellissimo, che ci ha commosso.
Ora provo una nuova commozione,
pensando a quanto coraggio e senso civico abbiano i tanti cittadini di Istanbul
che si stanno ribellando al progetto del premier Erdogan finalizzato a
distruggere il Gezi Park con i suoi seicento alberi nel cuore della città, per
fare posto a un centro commerciale. Senza paura, questi ragazzi affrontano i
reparti anti-sommossa della polizia, i lacrimogeni, i cannoni ad acqua. I
giovani studenti, sostenuti dagli artisti e dagli intellettuali turchi e da
tanti deputati, si accampano di notte nel parco per tentare la mattina dopo di
bloccare i bulldozer che devono sradicare gli alberi.
Dall’altra parte Erdogan, forte
delle autorizzazioni amministrative (non so se lì ci sono leggi che tutelano
gli alberi storici e se ci sono interpretazioni contrastanti di quelle leggi)
non vuole saperne niente della protesta, che così diventa anche una dura
critica al suo modo di fare autoritario. Ma, soprattutto, diventa una critica,
assai simile a quella degli indignados di New York, Londra e Madrid ad un
modello di sviluppo autoreferenziale che preferisce il cemento alla tutela delle
bellezze storiche e paesaggistiche che rappresentano anch’esse la storia di un
popolo.
Tornando col pensiero alla nostra
città, trovo una situazione che riproduce in piccolo lo stesso schema. Il
progetto di rifacimento del centro di Francavilla non ha preso in
considerazione la salvaguardia di beni di valore paesaggistico, quali erano gli
alberi abbattuti e ha previsto la realizzazione di marciapiedi con materiali
pregiati che comportano spese per centinaia di migliaia di euro, e poco importa
se con gli stessi soldi si potevano sistemare con piccoli interventi di
ordinaria manutenzione i tanti marciapiedi della città sui quali la gente cade
davvero.
Una volta si diceva “mamma li
turchi”, ora possiamo prendere ad esempio il senso civico di quei tanti ragazzi
di Istanbul, che non hanno paura neppure di essere picchiati o arrestati per
fare sentire a tutti il loro desiderio di salvaguardare i beni comuni e di non
morire inghiottiti nel plastificato mondo del pensiero dominante.
A loro Erri De Luca ha dedicato
una poesia che riporto qui sotto.
La battaglia d’Istanbul in
difesa di seicento alberi,
novecento arresti, mille feriti, quattro
accecati per sempre,
la battaglia d’Istanbul
è per gli innamorati a passeggio sui viali,
per i pensionati, per i cani,
per le radici, la
linfa, i nidi sui rami,
per l’ombra d’estate e le tovaglie stese
coi cestini e i bambini,
la battaglia d’Istanbul è per allargare il respiro
e per la custodia del sorriso.
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