Il
dibattito sull’utilità o meno della sperimentazione scientifica sugli animali,
occasionato dall’emendamento promosso dalle maggiori associazioni animaliste,
attualmente in discussione al Senato, sta arrivando al punto di maggiore
intensità.
Ultimamente, alcuni quotidiani e periodici hanno
riportato i pareri di autorevoli medici e scienziati contrari alla vivisezione
(come quelli del professor Fedi, primario di Urologia alla Sapienza e del dottor
Stefano Cagno, psichiatra e dirigente ospedaliero, nell’articolo de Il Giornale
dal titolo “La vivisezione è una truffa”, e del dottor Claude Reiss, per
trentacinque anni direttore di ricerca in biologia molecolare al CNRS
nell’articolo de L’Espresso dal titolo “Test sugli animali? Inutili e dannosi”),
mentre la rivista Panorama, la settimana scorsa, ha dedicato all’argomento
l’articolo di copertina, dal titolo “O la cavia o la vita”, raccogliendo il
parere del dottor Garattini, direttore del Mario Negri, favorevole alla
sperimentazione animale.
Il
titolo di quest’ultimo articolo ricorda lo slogan di una recente campagna choc,
organizzata oltreoceano per promuovere la ricerca scientifica con modelli
animali. Tale campagna, finanziata dalla FBR (Foundation for Biomedical
Research), è stata realizzata con 300 cartelloni pubblicitari (che tramite
internet hanno fatto il giro del mondo) ritraenti un topo e una bambina con la
scritta: “Chi preferisci vedere vivo, il topo o lei?”.
Ebbene, questo messaggio fuorviante ideato dai
pubblicitari pagati dalla FBR, al pari del titolo dell’articolo di “Panorama”,
merita alcune osservazioni, non sul piano scientifico (per quelle si rimanda ai
pareri contrapposti dei predetti ricercatori), ma sul piano morale.
Mi
viene in aiuto un libro, che sto leggendo in questi giorni, di Hal Herzog, dal
titolo “Amati, odiati, mangiati”. Herzog è uno studioso favorevole alla
sperimentazione animale, il quale tuttavia afferma che, pur avendo il desiderio
di bollare le contestazioni degli animalisti come il frutto dell’ingenuità e
della disinformazione, è costretto a riconoscerne la legittimità. Proprio a
proposito della sperimentazione sui topi, Herzog non ritiene di poter nascondere
le differenze biologiche: “noi viviamo quaranta volte più a lungo e il nostro
peso medio è duemila volte il loro; il metabolismo di un topo è sette volte più
veloce di quello umano; l’ultimo antenato comune alle due specie risale all’era
dei dinosauri”.
E
allora, perché i topi sono le principali vittime della sperimentazione animale?
Tutti noi che siamo interessati a tali tematiche abbiamo la risposta sulla punta
della lingua: perché sono animali economici, piccoli, maneggevoli, perfetti per
le ricerche finanziate dalle industrie farmaceutiche, a prescindere dalle
compatibilità genetiche con l’uomo. Ma Herzog fornisce un motivo in più,
lampante e allo stesso tempo quasi sfuggente: “La maggior parte della gente dei
loro diritti se ne infischia”. La gente non ama i topi. Secondo una ricerca
americana commissionata nel 2009 dalla Foundation for Biomedical Resarch (sì, la
stessa della pubblicità con la bambina), solo il 10% delle persone che si
trovasse un topo in casa tenterebbe di catturarlo per poi liberarlo all’esterno.
Il resto lo ammazzerebbe senza rimorsi.
Ecco
allora il punto del discorso, cui arriva Herzog: la mancanza di empatia con gli
animali coinvolti nelle sperimentazioni, di cui i topi sono la migliore
esemplificazione, è il fondamento morale delle sperimentazioni
stesse.
Hal
Herzog si accorge di questa semplice verità vedendo il film di Spielberg, E.T.
con i suoi figli. Nella scena finale l’extraterrestre si distacca dal suo amico
umano, il piccolo Elliot, per ritornare sul suo pianeta, Zork. L’autore a questo
punto si pone una domanda: e se invece di questo finale lacrimoso, si fosse
vista la scena dell’extraterrestre che afferra il bambino portandolo sulla sua
astronave, per poi testare su di lui un farmaco finalizzato a curare una
malattia mortale per gli zorkiani?
Si
tratta, a ben vedere, dello stesso esperimento mentale proposto da Desmond
Stewart nel suo racconto “Vennero i Troog e dominarono la Terra”. In questo
racconto l’autore immagina degli alieni, chiamati Troog, i quali, essendo più
intelligenti di noi umani, ci trattano così come noi trattiamo gli altri
animali. Ci piacerebbe l’idea? Direi proprio di no. Infatti, quando accade che
un farmaco ci procuri anche dei lievi effetti indesiderati, scattano le azioni
giudiziarie contro le case farmaceutiche. A nessuno di noi piace l’idea di aver
fatto da cavia per testare la bontà di un farmaco. La maggior parte di noi non
accetta neppure che a fare da cavia siano dei teneri cagnolini o delle
scimmiette. Il salto di qualità ci sarà quando aumenteremo le nostre capacità di
empatia e ci accorgeremo tutti che nessun animale, neppure il più antipatico dei
topi, merita le torture dei vivisettori.
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